BUDEL SERIE B – Alessandro Budel è un giocatore che di Serie B se ne intende, avendo giocato 280 match, playoff compresi, in cadetteria, oltre alle quasi 150 presenze in Serie A. Dallo scorso gennaio, dopo aver rescisso il suo contratto con la Pro Vercelli, è svincolato, un po’ per sua scelta e un po’ per scelta delle varie società, che ormai considerano un ragazzo dell’81 troppo vecchio per giocare ad alti livelli. A quasi un anno dalla sua ultima esperienza si tiene ancora in forma allenandosi tutti i giorni e tenendosi pronto per un’eventuale chiamata, ben consapevole che però la sua carriera potrebbe essersi conclusa con quell’ultima esperienza con la maglia della Pro. Ai microfoni di Seriebnews si confessa, andando a ritroso nella sua carriera e facendo un piccolo excursus fino ai giorni nostri. Ecco le sue parole:
Ciao Alessandro, possiamo ufficializzare il tuo ritiro dal calcio o ti tieni qualche porta aperta?
“Ma sai, non sono molto fiducioso che possa arrivare una chiamata ormai. E’ chiaro che se arriva io mi tengo pronto a valutarla se ne vale la pena o meno. Non so se avverrà e quindi possiamo dire che sono vicino al ritiro. Intanto mi porto avanti per il futuro, lavoro nell’azienda di famiglia. Potevo andare avanti a giocare, magari in qualche squadra di Serie C per salvarmi o qualche club di Serie D, ma ho preferito così perché nella mia testa mi sento di poter giocare anche a livelli più alti, una Serie B o una Serie C di alto livello. Ma visto che non mi sono arrivate chiamate preferisco smettere e fare altro”.
Hai il rimpianto di non aver chiuso come volevi tu un’ottima carriera?
”Sì, avrei voluto finire in maniera un po’ diversa a Vercelli, finire con una rescissione non era quello che avrei voluto. Però ho vissuto tanti bei momenti in carriera, tante belle emozioni. Ho sempre amato quello che ho fatto, anche se negli ultimi anni della carriera, a partire dall’ultimo anno di Brescia, sono successe delle cose che mi hanno fatto un po’ disamorare di questo ambiente. Certe situazioni non mi sono piaciute e mi hanno comunque un po’ fatto allontanare da questo mondo. Io ho sempre avuto una grande passione per il calcio e certe cose mi hanno un po’ infastidito e allontanato”.
Proprio per questo tuo disamore per il mondo del calcio, pensi che potrai tornare in qualche altro ruolo oppure ne starai definitivamente fuori?
”Io senza calcio non sapevo stare. Per me è sempre stata la cosa più bella. Anche d’estate non rimanevo mai fermo. Adesso, vuoi per quello che mi è capitato, vuoi per aver intrapreso una nuova esperienza, non mi sta mancando più di tanto e forse anche la mia testa si è un po’ abituata. Per ora sto bene così, ma di sicuro se mi capita un’occasione per andare ad allenare o per fare qualcos’altro la prenderò in considerazione. Io comunque mi alleno tutti i giorni e mi tengo in forma, non si sa mai che arrivi qualcuno a gennaio che mi proponga qualcosa di importante. Non a livello economico, ma a livello proprio calcistico, che mi possa prendere ancora anche mentalmente. Lì potrei anche decidere di farla, altrimenti non avrei problemi a chiudere la carriera”.
Qual è stato il tuo punto più alto di tutta la carriera?
”Forse a Brescia, quegli anni lì. Ho fatto campionati importanti con le rondinelle. In generale però dico da quando ho raggiunto una buona maturità, dai 27-28 anni. L’esperienza di Cagliari mi ha aiutato tanto nella mia crescita personale. Andato via da lì ho poi fatto i miei anni migliori, fino arrivare ai 34 anni. Posso mettere dentro l’anno di Empoli, i due campionati vinti a Parma e Brescia e gli anni successivi con le rondinelle. In generale la seconda parte della carriera. Non dimentico però l’anno di Trieste che mi ha lanciato nel calcio che conta quando ero giovane, avevo 20 anni e quello è un anno che ha fatto la differenza per me. Poi, come detto, dopo Cagliari e da Empoli in poi, ho fatto i miei anni migliori”.
C’è qualcosa che non rifaresti?
”Difficile dirlo. Forse ho avuto troppa fretta ad andare via da alcune squadre, ma rimpianti grossi non ne ho. Forse potevo anche giocare di più in Serie A, ma non mi è mai andato giù il fatto di giocare a spizzichi e bocconi. Magari se stavo fuori per qualche partita, volevo andare a giocare altrove, sono sempre stato così. Magari delle volte avrei potuto avere un po’ più di calma, perchè poi può capitare che fai 5-6 mesi senza giocare, ma può anche capitare di avere una chance all’interno di questo lasso di tempo da poter sfruttare al meglio. Io, per fretta, prendevo e andavo via, è capitato l’anno di Brescia in Serie A che sono andato al Torino, o l’anno di Parma che poi sono andato a Brescia. E’ anche vero che però scendendo di categoria ho vinto due campionati. Poi, certo, scendendo di categoria diventi quasi un ”giocatore da B” e magari non vieni più considerato un giocatore da A. E difatti dopo aver giocato quasi 150 partite in A, nell’ultima parte la mia carriera si è stabilizzata in B”.
Cosa ne pensi del livello del campionato di B?
”Non c’è paragone. Ma non dico che questo campionato sia più difficile o più facile di quello degli anni passati. Dal punto di vista dello spettacolo e dal punto di vista del livello tecnico si è abbassato di 3-4 volte. Io mi ricordo, per esempio, quando ero al Genoa o alla Triestina, c’erano delle squadre che avevano giocatori incredibili. Una squadra di metà classifica come la Ternana aveva Jimenez, Kharja, Zampagna, gente che poi ha fatto la A a livelli importantissimi. Se penso ora a squadre di metà classifica della B, magari prendiamo in considerazione il Foggia di turno, che ha stravinto la Lega Pro lo scorso anno, non mi viene in mente nessun giocatore in particolare che può stare in Serie A. Così come di altre squadre. Magari ci sono più dei giovani interessanti, ma a livello tecnico è troppo alto il divario tra A e B. Quindi si è livellato più verso il basso, così come accade in Serie A tra squadre che lottano per la salvezza e le altre. Questo può anche voler dire che per me può anche essere difficile giocare in un campionato come quello di adesso, molto più intenso rispetto a quelli precedenti, e meno tecnico. E per un altro potrebbe essere il contrario. Difatti si tende a far giocare più i giovani piuttosto che il giocatore esperto di 34-35 anni. E’ cambiato un po’ tutto. C’è anche un discorso economico, si tende a far giocare i giovani per rivenderli, ed è tutto improntato su di loro. Non è come alla mia età che si giocava per meriti, era molto più gratificante e crescevi molto di più. Era tutto basato sulla meritocrazia e questo ti aiutava a poter sviluppare una carriera importante. Adesso magari a 21 anni ti buttano nella mischia, fai un campionato ottimo, poi passi 4-5 anni nella stessa squadra, o magari ti mandano in giro e succede che a 26 anni sei già vecchio e non trovi più squadra. E ce ne sono tanti di questi casi. Prima, il tutto avveniva gradino per gradino e le carriere erano più stabili, non c’erano grandi picchi, nè verso il basso, nè verso l’alto”.
Chi va in Serie A secondo te?
”Secondo me l’Empoli, il Frosinone, che ha una gran bella squadra, e il Parma. Puntavo molto sul Perugia, ma poi si è sgonfiato abbastanza presto”.
Marco Orrù