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Perugia, Guberti a cuore aperto: ”E’ stata dura, che bello tornare a giocare”

Stefano Guberti

GUBERTI PERUGIA – Stefano Guberti tornerà a giocare dopo praticamente 4 anni, dopo il caso del calcioscommesse e dopo la grazia ricevuta dalla FIGC. Oggi ha parlato a La Gazzetta dello Sport in un’intervista a cuore aperto.Ecco qualche passo: ”Il rancore non aiuta a giocare meglio, anzi. Certo, all’inizio di questa vicenda ero infuriato col mondo e soprattutto con Masiello che mi aveva accusato. Ora mi piacerebbe incontrarlo in campo e batterlo da avversario: sarebbe una soddisfazione doppia. A un certo punto ho toccato il fondo, l’odio stava mettendo a rischio tutto. Persino gli affetti più cari, compreso mio figlio. Così poco alla volta il dolore si è trasformato in energia positiva, sono maturato. Voglio dimostrarlo con i fatti, iniziando dal campo. solo passando attraverso certe situazioni si capiscono gli errori. Nel calcio, specie negli anni passati, troppe cose si davano per scontate. Nessuno ci spiegava i rischi di alcune abitudini. L’omertà, ad esempio, era una prassi. Invece è un errore madornale, le scommesse e le combine distruggono il calcio”.

Una promessa, quella di tornare a giocare a calcio, fatta al padre:‘Mi dicevano ”non sarai più un calciatore”. Beh, sono pensieri che ho avuto anche io. Un amico mi propose di aiutarlo con la sua azienda: distribuisce bibite in Sardegna. La mia compagna mi ha sempre fatto sentire importante. Ma il momento più toccante è stato durante una cena con i miei. Papà è di poche parole, mi avrà detto “bravo” due volte. Rimasi di sasso quando mi sussurrò: “Stefano, sei la nostra vita. Saremo sempre con te e pazienza se non tornerai a giocare”. Con le lacrime agli occhi gli ho fatto una promessa. Sto per mantenerla”.

Guberti è tornato sul periodo poco prima della sua lunga squalifica: ”Ho sbagliato e spero che altri non ripetano il mio errore. Dovevo denunciare subito, ma allora nessuno mi ha aperto gli occhi. Avevo appena firmato con la Roma, quella con la Salernitana era la mia ultima gara col Bari. Pensavo “che m’importa”. Ho pagato per questo. E la lezione ce l’ho impressa sulla pelle come un tatuaggio. Ero alla Roma, all’inizio pensavo che la squalifica sarebbe stata cancellata. Dopo il primo stop ero sempre nella rosa della Roma, facevo le stesse cose di chi giocava: Zeman mi dava indicazioni. Solo quando lo stop è diventato definitivo ho capito cosa stava accadendo. E sono tornato a casa, a Villamassargia, dove tutti mi conoscono. Ogni sera andavo ad allenarmi con una squadra di D. E spesso facevo doppia seduta, sfruttando i pomeriggi con un altro club. Mi lavavo la tuta, lucidavo le scarpe. Pianti? Sì, molti. Mai davanti agli altri, sempre da solo. È il mio carattere…”.

Marco Orrù

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Marco Orrù
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