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Basta con il sospetto e con il calcio combinato: ecco perché siamo indietro anni luce

SERIE B / MILANO – Quello che è successo sabato scorso in Reggina-Cittadella è solo l’ultimo, deprecabile episodio del sospetto che ha coinvolto il nostro calcio. Mentre negli altri paesi d’Europa si vincono coppe, si esalta il bel gioco e l’atmosfera sportiva che vive all’interno degli stadi, noi siamo ancora qui, a discutere di un rigore tirato male di proposito e di risultati combinati. Possibile che il salto di qualità sia così tanto lontano?

Non voglio entrare nel merito dell’episodio specifico, anche perché i nostri precedenti ci indicano prudenza nel giudicare quanto succede sui nostri campi di pallone, ma vorrei piuttosto soffermarmi sulla mentalità che da sempre permea il nostro principale sport. Se è vero che il calcio è lo specchio fedele della società in cui si sviluppa, beh, allora c’è davvero da preoccuparsi. Da noi perdere equivale a dire fallimento, giocar male significa sempre e necessariamente ledere la dignità del tifoso e della maglia, e chiunque può sentirsi in dovere di costringere un giocatore a togliersela, poiché secondo i suoi parametri ritenuto indegno e passibile invece di pubblica umiliazione.

Siamo al paradossale, siamo al cancro del calcio. E invece di voler migliorare, di voler dare una sterzata a una mentalità che ci sta pian piano riducendo al rango di mediocre campionato al cospetto di tornei, quelli di altri paesi (Inghilterra, Spagna e Germania per citarne alcuni) che invece volano sotto tutti i punti di vista, lasciandoci indietro di anni a domandarci sul perché accumuliamo figuracce in giro per il Vecchio Continente.

Non è possibile che, dopo gli scandali di cui ci siamo macchiati, siamo ancora qui, a parlare giorni e giorni di sospetti, di accordi sottobanco per qualche migliaio di euro e di leggi non scritte per cui un rigore debba essere calciato in modo ridicolo. Chi ama questo sport, il sottoscritto compreso, chiede di smetterla, perché il nostro amore viene ammazzato giorno dopo giorno. Che si giochi e che si compia quel che è giusto, in maniera sportiva, agonisticamente dura, ma in maniera sempre corretta, nei limiti della civiltà, nei canoni dei pilastri che rendono bello lo sport.

Ne abbiamo abbastanza di indagini, scartoffie, di accuse e sospetti. Sarà banale dirlo, ma vogliamo solo un pallone, ventidue giocatori, e gente in festa, comunque vada. Perché è questo che dovrebbe essere il calcio, una festa. Guardandolo oggi, al di qua delle Alpi, sembra sempre più un funerale.

Marco Macca

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Marco Macca

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