Il Verona ritrova i rivali della Reggina dopo 10 anni, in una situazione ben diversa da quello spareggio per la permanenza in A. Le due compagini battagliano nei quartieri alti della Serie B, e stavolta i timori reverenziali sembrano fare la differenza, rispetto all’ardore agonistico. Mandorlini sceglie Jorginho come supporto alle punte Gomez e Pichlmann, mentre Breda ripristina in formazione Nicolas Viola e
Ragusa, due tra i migliori giocatori in organico. Da un lato si cercano i cross per la testa del centravanti austriaco; dall’altro c’è il solito baricentro basso, con Missiroli che prova a muoversi tra le linee.
Le principali iniziative sono dell’Hellas, che sfruttano le sovrapposizioni soprattutto con Scaglia a sinistra. La rete del vantaggio arriva però dal lato opposto. Gomez approfitta di un momento in cui la difesa calabrese è mal posizionata, supera Antonio Marino ed Emerson e crossa per il solissimo Pichlmann, che al 28’ mette dentro di testa da due passi. La Reggina non c’è, la reazione è molto timida e Rafael conclude il primo tempo senza sporcarsi la tuta.
All’intervallo, Breda decide per l’ingresso dell’attaccante Ceravolo al posto del difensore Marino, e passa al modulo 4-2-3-1. Proprio il neoentrato mette subito i brividi, mandando di poco a lato dopo una sponda di Bonazzoli. La partita diventa improvvisamente bella, e nel primo quarto d’ora della ripresa si assiste a continui capovolgimenti di fronte. Lo spreco di energie è notevole, infatti da lì a poco si abbassano i ritmi.
Nonostante la trazione anteriore, la Reggina denota mancanza di particolare intesa, e fino al 90’ non crea altre grosse occasioni. Nei minuti di recupero, l’altro subentrato Campagnacci da posizione molto defilata colpisce il palo esterno, ma è il tiro della disperazione. Il Verona si aggiudica l’intera posta in palio, difendendosi quasi sempre con ordine nel secondo tempo, e mantiene il quarto posto. Gli amaranto scivolano al sesto, dopo aver regalato la prima frazione. Pochini i lampi dopo l’ingresso di tutta la batteria offensiva. E sulla panchina di Breda c’è più di un tuono.
Paolo Ficara